Ricorso della regione Puglia, in persona del presidente della Giunta regionale pro-tempore autorizzato con delibera di Giunta regionale, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dal prof. avv. Aldo Loiodice e dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso lo studio di quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, via T. Taramelli 22, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempre, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 recante "Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali", e in particolare degli artt. 2, 3, 8, 9, pubblicato in Gazzeffa Ufficiale, serie generale, n. 202 del 30 agosto 1997. F a t t o Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri in data 16 aprile 1997 e successivamente depositato presso la cancelleria di questa ecc.ma Corte, la regione Puglia ha impugnato alcune disposizioni della legge 15 marzo 1997, n. 59, recante "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa", pubblicata nel suppl. ord. n. 56/L alla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 1997, n. 63. Con tale impugnazione la regione Puglia denunciava la lesione dell'attuale status costituzionale dell'autonomia regionale, riservandosi, inoltre, qualora necessario, di impugnare i successivi decreti di attuazione della suddeffa legge. Successivamente, in data 28 agosto 1997, il Governo, in attuazione dell'art. 9 della legge n. 59/1997, adottava il decreto legislativo n. 281/1997, recante "Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali" pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 202 del 30 agosto 1997. Proprio l'art. 9 della legge n. 59/1997 aveva costituito oggetto, sotto vari profili, di specifica impugnazione da parte della regione Puglia nel ricorso promosso avverso la legge n. 59/1997. La circostanza che il d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281 costituisca attuazione della delega contemplata dal suddetto articolo, in una con la presenza di ulteriori aspetti di illegittimita' costituzionale, non puo' esimere la regione Puglia dall'impugnarlo per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione degli artt. 5, 115, 117, 118 della Costituzione; violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 616 del 1977 quale norma interposta. In attuazione della delega contenuta nel primo comma dell'art. 9 della legge n. 59/1997, l'art. 8, comma 1, unifica la Conferenza Stato-regioni con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali "per la materia ed i compiti di interesse comune". Nel successivo comma 4, l'art. 8 disciplina le modalita' di convocazione della suddetta Conferenza e l'art. 9 ne individua le funzioni. Tali disposizioni presentano evidenti vizi di incostituzionalita' e rappresentano la spia piu' evidente di un tentativo di decostituzionalizzare le garanzie dell'autonomia regionale, equiparandola - anche negli strumenti e nelle procedure - a quella - pur costituzionalmente esistente - degli enti locali. Pur non avendo la Conferenza Stato-regioni una espressa copertura costituzionale, pare evidente che tale strumento e' diventato ormai un punto insostituibile ed irretrattabile, a costituzione vigente, del raccordo tra lo Stato e le regioni, lo strumento essenziale per quella leale cooperazione che trova fondamento direttamente nell'art. 5 della Costituzione, come tante volte dichiarato da questa ecc.ma Corte. In tale sede, Stato e regioni si confrontano, in una struttura dalla composizione predeterminata (tutti i rappresentanti delle regioni e province autonome), essendo le regioni interlocutori dello Stato rispetto a "propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione" (art. 115 della Costituzione). L'unificazione conduce - come risulta dal tenore di tale disposizione - ad una composizione variabile, in cui si confrontano soggetti (le regioni) le cui funzioni e compiti sono garantiti dalla Costituzione (art. 115), con soggetti le cui funzioni sono determinate da leggi generali della Repubblica (art. 128 della Costituzione). Ne' vale sostenere che l'equiparazione tra regioni e citta' deriva dagli artt. 5 e 114 della Costituzione, i quali - in quanto norme di principio - vanno letti ed interpretati conformemente alle norme costituzionali citate (artt. 115 e 128) che prevedono una diversa garanzia delle funzioni regionali e di quelle degli enti locali. E' evidente d'altronde che, proprio in base al piu' volte richiamato principio di sussidiarieta' da parte della legge di delega, il luogo naturale per la collaborazione e il coordinamento tra la regione-ente e gli enti locali, a livello regionale, e' l'ambito regionale (se si vuole, la regione-comunita'). Non e' un caso infatti che alcune regioni abbiano gia' individuato, previsto e disciplinato delle appropriate sedi regionali per la piu' ampia consultazione e il diretto confronto con gli enti locali, sedi in cui promuovere l'esercizio coordinato delle rispettive funzioni (l.r. Toscana, 19 luglio 1995, n. 77, art. 3, istituzione di un Comitato di rappresentanti del sistema delle autonomie locali; l.r. Basilicata, 28 marzo 1996, n. 17, principi di coordinamento del sistema regionale delle autonomie in Basilicata; l.r. Abruzzo, 18 aprile 1996, n. 21, istituzione della Conferenza permanente regioni enti locali). Ne' e' un caso che le stesse regioni "al fine di favorire la partecipazione degli enti locali alla determinazione della politica regionale" abbiano proposto di costituzionalizzare la necessita' dell'istituzione del Consiglio delle autonomie locali "presso ogni regione" (art. 129 della proposta di riforma costituzionale in senso federalista elaborata dalla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, ora in numerosi atti parlamentari tra cui ad es. v. A.C. 2900). La stessa legge n. 59 del 1997 prevede, all'art. 4, comma 1, che al "conferimento delle funzioni (nelle materie di cui all'art. 117 Cost.) le regioni provvedono sentite le rappresentanze degli enti locali. Possono altresi' essere ascoltati gli organi rappresentativi delle autonomie locali ove costituiti dalle leggi regionali". Non puo' sfuggire a nessuno d'altronde che spostare al livello nazionale la sede del confronto e del coordinamento tra regioni e enti locali, oltre a ledere la Costituzione e i suoi principi e in primo luogo quello di sussidiarieta', finirebbe per favorire esclusivamente le grandi citta' a detrimento di tutte le realta' locali minori che ben scarso rilievo rappresentativo potrebbero trovare a livello nazionale. Sintomatico di un atteggiamento poco rispettoso del rapporto regione-autonomie locali e', poi, l'art. 2 del decreto legislativo che, nell'individuare i compiti della Conferenza Stato-regioni, pone a fondamento di tali attribuzioni il fine di garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano a tutti i processi decisionali non solo "di interesse regionale" (che riguardino cioe' tutte le regioni), ma anche quelle "di interesse interregionale ed infraregionale". Cosi' disponendo si incide, infatti, sull'autonomia amministrativa e organizzatoria delle singole regioni nei rapporti con gli enti locali infraregionali o con quelli autonomamente determinati con altre regioni. Quale titolo avrebbero, infatti, lo Stato e le altre regioni ad intervenire in un processo decisionale di interesse infraregionale o interregionale della regione Puglia? A salvare l'eccepita incostituzionalita' degli artt. 8 e 9 del decreto legislativo n. 281/1997 non vale nemmeno sostenere che l'unificazione delle due Conferenze riguarda solo "le materie e i compiti di interesse comune". Lo schema della legge delega fa si', infatti, che tutte le materie e i compiti non statali appaiano - incostituzionalmente - comuni a regioni, province e comuni: le funzioni in tali materie sono distribuite dallo Stato, il quale puo' anche intervenire in via sostitutiva sulle regioni nel caso in cui queste non intervengano a distribuire le funzioni regionali agli enti locali| Si aggiunga, poi, che sembra gia' fin d'ora di individuare un fenomeno interpretativo che renderebbe definitivamente tutte le materie non statali "comuni" a regioni comuni e province. Si intravede gia' - ad esempio, nella bozza di decreto legislativo sui trasporti locali - una tendenza a ribaltare l'interpretazione estensiva delle materie di cui all'art. 117 della Costituzione che fu data dal d.P.R. n. 616 del 1977: allora, si tento' di estendere il significato delle nozioni costituzionali - incontrando le critiche di parte della dottrina (Sandulli, D'Atena) - al fine di poter trasferire alle regioni funzioni all'interno di materie organicamente considerate; e il governo centrale, in qualche modo, subi' questo orientamento interpretativo. Oggi, pare che si stia cercando di tornare ad una interpretazione restrittiva delle materie dell'art. 117 della Costituzione: non gia' per riassegnare allo Stato le funzioni in quegli interstizi che il n. 616 aveva cercato di coprire, bensi' per poter assegnare direttamente agli enti locali funzioni in materie che il d.P.R. n. 616 aveva considerato attratte nella competenza regionale, ma che non ricadono nelle materie dell'art. 117, se strattamente interpretate. 2. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 76 della Costituzione. Lo stesso art. 8, ai commi 2 e 3, disciplina, rispettivamente, la composizione e le modalita' di convocazione della Conferenza Stato-citta' e l'art. 9, ai commi 5, 6 e 7 ne individua in maniera dettagliata le funzioni, modificando la disciplina del d.P.C.M. che l'aveva istituita (cosicche' nemmeno si puo' parlare di "legificazione" delle originarie disposizioni secondarie). Entrambe le disposizioni sono incostituzionali in quanto viziate di eccesso di delega per violazione dell'art. 76 della Costituzione. Mentre, infatti, l'art. 9 della legge n. 59/1997 conferisce al Governo una espressa delga a definire e ampliare le attribuzioni della Conferenza Stato-regioni e a provvedere all'unificazione della stessa con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, nessuna delega e' rinvenibile nella legge Bassanini in ordine alla disciplina della composizione, dell'organizzazione e delle attribuzioni di quest'ultima. D'altra parte, la circostanza che le disposizioni concernenti la disciplina della Conferenza Stato-citta' siano state inserite nel Capo III, intitolato genericamente (e volutamente?) "Conferenza Unificata", e siano state "mescolate", sia nell'art. 8 che all'art. 9, con quelle relative alla conferenza unificata sta ad indicare che il Governo fosse ben consapevole di non aver ricevuto una espressa delega a disciplinare la Conferenza Stato-citta'. 3. - Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 115, 117, 118 e 97 della Costituzione, e dell'art. 9 della legge n. 59 del 1997; manifesta irragionevolezza e violazione del principio di leale cooperazione. Del tutto incoerente con il ruolo assegnato dall'ordinamento alla Conferenza Stato-regioni e contraddittoria sia con la legge n. 59/1997 che, all'art. 9, comma 1, lettera a), delega al Governo "il potenziamento dei poteri e delle funzioni della Conferenza" (la stessa legge n. 59/1997 all'art. 8, comma 1 provvede a tale potenziamento prevedendo la necessita' dell'intesa con la Conferenza Stato-regioni per l'adozione da parte del Governo degli atti di indirizzo e coordinamento), sia con la logica cui sembra essere ispirato il decreto legislativo n. 281/1997 nell'individuare le funzioni della stessa, appare la previsione dell'art. 3, comma 4, relativo alle intese. Dopo aver disciplinato nei primi tre commi del suddetto articolo le modalita' di perfezionamento dell'intesa tra il Governo e la Conferenza Stato-regioni, il decreto, al comma 4, sembra svuotare di ogni significato l'importanza di tale momento di raccordo, stabilendo che "in caso di motivata urgenza" il Governo possa provvedere anche in mancanza dell'intesa. I provvedimenti assunti in assenza dell'intesa saranno sottoposti solo successivamente alla Conferenza, le cui osservazioni il Governo e' tenuto semplicemente a esaminare ai fini di eventuali deliberazioni successive (art. 3, comma 5). Non sfugge il senso di una tale previsione: permettere al Governo di aggirare, senza troppe difficolta', l'obbligo di consultazione. A cio' si aggiunga che l'aggettivazione utilizzata per definire l'urgenza non sembra avere alcun potere qualificante. L'espressione "urgenza motivata" risulta, infatti, pur sempre molto generica e, in quanto tale, idonea a prestarsi ad un uso strumentalizzato da parte del Governo. D'altra parte l'intero art. 3 sembra attuare in maniera discutibile la delega contenuta nell'art. 9, comma 1, lett. c) della legge n. 59/1997 che attribuisce al Governo il compito di specificare le materie per le quali l'intesa e' obbligatoria e di disciplinare i casi di dissenso. Tale disposizione sembra infatti stabilire e smentire contemporaneamente il principio della obbligatorieta' delle intese. Mentre, da un lato, infatti, il primo comma, nel disporre che "le disposizioni del presente articolo si applicano a tutti i procedimenti in cui la legislazione vigente prevede un'intesa nella Conferenza Stato-regioni", sembrerebbe stabilire che l'intesa e' obbligatoria in tuffi i casi nei quali essa e' prevista dalla legislazione vigente, dall'altro, il comma quarto, affermando che una qualsiasi generica, anche se motivata, urgenza possa permettere al Consiglio dei Ministri di provvedere ugualmente, sembrerebbe derogare all'affermato principio dell' obbligatorieta' della intesa. Ad analoghe censure si presta l'art. 2, comma 5 nel quale si prevede che "quando il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiara che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva" la Conferenza venga consultata successivamente sui disegni di legge, sulle leggi di conversione dei decreti legge e sugli schemi di decreti legislativi. La valutazione dell'urgenza, anche in questo caso, sembrerebbe essere lasciata alla piena discrezionalita' del Presidente del Consiglio dei Ministri. E' sicuramente discutibile, contraddittorio e in violazione della stessa delega che l'obbligo di intesa - che dovrebbe costituire uno dei momenti qualificanti della nuova disciplina della Conferenza Stato-regioni - possa essere superato ed aggirato; la mancanza, poi, di qualsiasi formula - sostanziale o procedurale - che miri a circoscrivere la possibilita' del Governo di aggirare l'intesa rende palese lo scopo della previsione: le regioni saranno poste di fronte al fatto compiuto; "cosa fatta, capo ha"|: e a poco servira' dover tornare nei quindici giorni successivi su di un provvedimento gia' assunto dal Consiglio dei Ministri (che sarebbe obbligato "ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato-regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive"). Ben si poteva - per sottolineare l'esistenza di casi in cui l'urgenza la fa da padrona - ridurre drasticamente (a cinque giorni, ad esempio) il termine in cui l'intesa deve perfezionarsi, pena l'autonoma deliberazione del Consiglio dei Ministri (termine posto a trenta giorni dall'attuale comma 3); ovvero, qualificare e sostanziare l'urgenza che legittima il Governo a provvedere senza intesa (anche se l'esperienza della decretazione di urgenza mostra come la qualificazione dell'urgenza ben possa essere aggirata|). In realta', siamo di fronte ad un ulteriore passo negativo su di una strada - quella della legge Bassanini - che non promette nulla di buono per le regioni.